Storytelling Era
Tempo fa, sul blog Fotocrazia tenuto da Michele Smargiassi su Repubblica.it si è parlato di Storytelling. Smargiassi ha gettato il sasso nella stagno, forse potremmo dire che c’è la ha tirato con forza, un pò come quando, consapevoli del risultato della propria azione, la vuoi amplificare per creare delle belle onde e un bel pò di schizzi. Allora risposi con un post argomentando quanto pensavo sullo storytelling e la sua estensione visual, che ora qua ripubblichiamo. Pur non esaurendo il discorso su argomento così ampio e complesso, il post cerca di delimitare un pezzo di terra ferma nei mari agitati della comunicazione. Per leggere l’articolo di Michele di Smargiassi e relativi interventi vedi qui.
Anche io mi occupo di storytelling, anzi per peggiorare le cose con le definizioni anglofone mi interesso di visual storytelling: la disciplina che si occupa di quello che nella nostra lingua è la narrazione visiva, per immagini (di varia natura) insomma. Devo ringraziarla di questo post, perché ha il pregio di aver acceso il dibattito su una questione culturale importante e sull’uso smodato che si fa di questo termine. Sperando di non avere abusato troppo di questo spazio qui di seguito un po’ di considerazioni.
Gli storyteller nella cultura anglofona erano coloro che raccontano le storie. Storytelling diventa il termine che designa l’atto di raccontare. Nella nostra lingua il termine che li si avvicina è narrazione o meglio: l’atto di raccontare. Come ha suggerito Andrea Fontana a riguardo c’è una letteratura vasta e accessibile. Fontana come a scritto nel post si occupa da anni di Corporate Storytelling una declinazione ben precisa dello Storytelling, che tratta di narrativa d’impresa, prodotto, brand etc… Quindi le parole che ha ripreso per rinsaldare la sua tesi sul significato del termine si riferiscono a una delle modalità di utilizzo dello storytelling, come lui stesso a evidenziato ce ne sono molte altre. Capisco che questo dilagare terminologico ammorbi, ma non commettiamo l’errore di volergli per forza attribuire un significato negativo. Salomon con la sua egregia opera ci suggerisce di prendere coscienza di questa forma comunicativa e ci mette in guardia su alcuni pericoli che porta con se.
Fare Storytelling non è affatto una cosa semplice, come in tutte le arti, è frutto di studio, preparazione e impegno. Visto che in questo blog ci si riferisce poi alle immagini, nelle botteghe dei pittori del cinquecento come quella di Andrea del Sarto da dove sono poi usciti il Rosso Fiorentino e il Pontormo si studiava sodo per imparare l’arte visiva e poi raccontare storie con le immagini.
Certo lo Storytelling o il narrare (come dir si voglia) è un tecnica comunicativa per rappresentare. Lo sono fra le altre anche la Catalogazione, la Mappatura, la Legificazione. Spesso oggi troviamo ibridate insieme queste forme. In quanto forma della comunicazione lo Storytelling può essere utilizzato per veicolare differenti tipo di contenuto, come le altre del resto.
Emozioni vs Ragione. Questa contrapposizione, non serve, esistono tutte e due e dobbiamo metterle in equilibrio. Lo storytelling veicola emozioni e informazioni, è vero. Il raziocino ci protegge dalla mistificazione che queste, le emozioni, possono creare, è falso. Una comunicazione più fredda e razionale, magari che usa i numeri, statistiche o correlazioni frutto di analisi tramite big data per confermare la sua tesi, può portare a mistificazione della realtà quanto quella fatta attraverso le storie.
Lei dice che nel fotogiornalismo lo Storytelling “dispensa dai doveri di fedeltà al dato primario della raccolta testimoniale; affascina e commuove e convince il lettore più del fotogiornalismo tradizionale”. Conoscere lo storytelling visivo, il narrare per immagini è avere conoscenza e coscienza di quali sono i meccanismi, i modi le possibilità di questa forma. Le narrazioni possono essere fedeli o no, narrare la realtà storica accertata oppure creare un racconto di invenzione, questo dipende dalle intenzioni comunicative dell’autore e di come le attua. Nel caso del fotogiornalismo e nel reportage abbiamo a che fare con narrazioni di realtà, quindi si ha il dovere di riportare i fatti nella maniera più vicina possibile a quanto accaduto.
Fare Storytelling non significa: premere l’acceleratore sulle emozioni. Non sempre il racconto è melodramma o fiaba. Sono molti i registri applicabili.
Raccontare un storia con le immagini non prevede di scrivere una sceneggiatura, per quanto dalla prima stesura di una sceneggiatura alla forma definitiva che avrà il film passano decine di riscritture.
Raccontare per immagini è pensare per immagini, è frutto di una disposizione a vedere il reale a ricrearlo nella forma rappresentativa del racconto. Questo avviene prima dello scatto, durante e dopo. La fotografia è anche (non solo) un modo di raccontare storie (lo fa molto spesso, in molti generi) e quando questo è fatto bene non impone gabbie artificiali, non è mera illustrazione, ma come tutti i racconti ben fatti permette “un’apertura”, un fermento che proietta l’intelligenza e la sensibilità verso qualcosa che va molto oltre l’aneddoto visivo o letterario contenuto nella foto o nel racconto stesso.