La Jetée secondo Ballard / Volendo inaugurare questo blog abbiamo scelto di pubblicare come primo articolo, quello che nel luglio del 1966 il trentatreenne J.G. Ballard, pubblica nella rivista New Worlds...

La Jetée secondo Ballard

di LaJetée in Editoriali

Alle inaugurazioni spesso s’invitano personaggi famosi per dare lustro all’evento. Spesso però sono noiosi e poco originali. Non so, magari sbagliamo, ma volendo inaugurare questo blog de LaJetée abbiamo scelto di pubblicare come primo articolo, quello che nel luglio del 1966 il trentatreenne J.G. Ballard, pubblica nella rivista di Science Fiction – New Worlds. Una recensione del film La Jetée di Chris Marker, che a nostro parere mostra tutto l’acume di questo grande scrittore.

Buona lettura a tutti,
La Redazione

Questo film strano e poetico, un misto di fantascienza, favola psicologica e fotomontaggio, crea nei suoi modi peculiari una serie di immagini bizzarre dei paesaggi interiori del tempo. A parte una breve sequenza di tre secondi – un sorriso esitante di una giovane donna, un momento di straordinaria intensità, come il frammento del sogno di un bambino – i trenta minuti di film sono costituiti interamente da pose fisse.

Eppure questa successione di immagini sconnesse è il mezzo perfetto per proiettare i ricordi quantificati e i movimenti nel tempo che sono il tema del film.


La Jetée del titolo è la piattaforma di osservazione dell’aeroporto d’Orly. La lunga piattaforma si proietta su quella terra di nessuno in cemento, punto di partenza per altri mondi. Giganteschi jet riposano sull’area di stazionamento accanto alla piattaforma, cifre metalliche la cui aerodinamicità non è che un codice per attraversare il tempo. La luce è friabile. Gli spettatori sulla piattaforma di osservazione hanno l’aspetto di manichini. L’eroe è un piccolo ragazzo, in visita all’aeroporto con i genitori; improvvisamente c’è il bagliore frammentato di un uomo che cade. È successo un incidente, ma mentre tutti corrono dall’uomo morto, il ragazzino si fissa invece sul viso di una giovane donna vicino al parapetto. Qualcosa di quella faccia, la sua espressione di ansia, rimorso e sollievo, e soprattutto l’ovvio ma non dichiarato legame della giovane donna con il morto, crea un’immagine di straordinaria potenza nella mente del ragazzo.



Anni più tardi scoppia la terza guerra mondiale. Parigi è quasi cancellata da un immenso olocausto. Qualche superstite resiste nelle gallerie circolari sotto il Palais de Chaillot, come fossero topi di laboratorio in una sorta di labirinto dal tempo deformato. I vincitori, distinguibili per le strane lenti oculari che portano, cominciano a condurre una serie di esperimenti sui sopravvissuti, tra cui l’eroe, ora sulla trentina.

Di fronte al mondo distrutto gli sperimentatori sperano di inviare un uomo attraverso il tempo. Mandano il giovane, per il potente ricordo che continua ad avere della piattaforma di Orly. Con un po’ di fortuna ci arriverà. Altri volontari sono diventati pazzi, ma la forza straordinaria del suo ricordo lo riporta alla Parigi prebellica. La sequenza delle immagini qui è la più bella del film, il soggetto è steso su un’amaca nel corridoio sotterraneo, come in attesa che sorga un qualche sole interiore, con una bizzarra maschera chirurgica sugli occhi – per quanto mi riguarda, l’unica rappresentazione convincente di un viaggio nel tempo dell’intera fantascienza.
 Arrivando a Parigi vaga tra la folla estranea, incapace di prendere contatto con chiunque finché non incontra la giovane donna che aveva visto da bambino all’aeroporto di Orly. Si innamorano, ma il loro rapporto è guastato dal suo senso di isolamento nel tempo, la sua consapevolezza di aver commesso una sorta di crimine psicologico nell’inseguire il suo ricordo. In una specie di tentativo di collocarsi nel tempo, porta la giovane donna al museo di paleontologia, passando giorni tra piante e animali fossili.

Visita l’aeroporto di Orly, dove decide che non ritornerà dagli esperimenti di Chaillot. In questo momento appaiono tre strane figure. Agenti di un futuro anche più lontano, pattugliano i canali temporali e sono venuti per costringerlo a tornare. Piuttosto che lasciare la giovane donna, l’eroe si getta dal pilastro. Il suo corpo che cade è quello che aveva intravisto da bambino.


Questo tema ben noto è trattato con notevole acume e immaginazione, i simboli e le prospettive rafforzano di continuo il tema principale. Non fa uso una sola volta delle convenzioni care alla fantascienza tradizionale. Costruendo le proprie regole sullo scalfire, riesce trionfalmente dove la fantascienza fallisce immancabilmente.

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24 Set 2013