La differenza
Nel settembre del 1979 Arturo Benvenuti, contabile e bancario, poeta e artista, ha cinquantadue anni si è messo alla guida del suo camper per ripercorrere le strade che collegano Auschwitz, Terezín, Mauthausen-Gusen, Buchenwald, Dachau, Gonars, Monigo, Renicci, Banjica, Ravensbrück, Jasenovac, Belsen, Gürs. Un viaggio per incontrare i sopravvissuti ai campi di sterminio. Il tentativo di recuperarne le voci e proteggerne la memoria.
Benvenuti lungo il cammino si è imbattuto e ha raccolto disegni autografi realizzati dagli internati nei lager nazifascisti durante la loro prigionia. Ducentocinquanta disegni che insieme a cinque sue poesie vanno a comporre il libro KZ. Nel curare il libro Benvenuti si è limitato a mettere i disegni in ordine per autore, lasciando che le immagini raccontassero senza bisogno di altro che la storia che portavano con sé. Il risultato di questo lavoro è un libro unico, che riesce a restituire una prospettiva intima e potente di uno dei sistemi di spersonalizzazione e eliminazione dell’individuo mai attuati dall’uomo. Autopordotto e stampato in millecinquecento copie, andato fuori stampa nel 1983, rivede ora la luce grazie alla case editrice Beccogiallo che in occasione della Giornata della Memoria ne propone la ripubblicazione.
Soffermarsi a leggere i disegni presenti in KZ è un gesto importante per imparare a non dimenticare. Alcuni disegni sembrano quasi incisioni. Solchi neri che affondano nella carta. Non viene dichiarato con cosa sono stati fatti, ma possiamo immaginarci mozziconi di legno bruciato, carbone, per alcuni forse perfino matita. Quando il tratto è sottile si percepisce ancora la forza che è stata esercitata per tracciare il segno, imprimere quanto lo sguardo stava vedendo.
John Berger nella raccolta di saggi Sul Disegnare, suggerisce che ci sono tre diversi modi in cui funzionano i disegni. Ci sono quelli che studiano e interrogano il visibile, quelli che annotano e comunicano idee, e quelli fatti a memoria. In questa raccolta coesistono tutti e tre i modi, e tutti hanno la capacità di farci intravedere l’orrore che il disegnatore ha visto. Un orrore privato, personale, non più spersonalizzato. Chi ha eseguito questi disegni è riuscito a rivelare che dietro il K.Z. il Ka-tzetnik, ovvero “prigioniero del campo di concentramento”, in riferimento al detenuto piuttosto che al luogo o alla forma di detenzione, ancora resisteva l’essere umano.
Il disegnare è un attività che s’immerge nell’osservazione e nella ricezione, ed è fatta di tempo e di spazio. Il tempo dell’osservare e di ricevere quanto l’oggetto osservato emana e poi l’organizzare sullo spazio bianco della carta delle linee. La mano traccia quanto l’occhio e la mente registrano, intercettando l’apparire del visibile nelle sue forme primarie e sintetiche. Le linee disegnate sulla carta, al tempo stesso si disegnano nella mente dell’autore. Un tentativo continuo di trovare una corrispondeza fra quello che emerge nella mente dell’osservatore, quello che la mano riesce a restituire e quello che appare. Guardare i disegni raccolti in KZ è ripercorrere quindi lo sforzo di tracciare linee, è il lento formarsi dello sguardo che diventa forma delle cose, della materia, dell’interiorità. E’ anche ripercorere l’orrore della morte nei campi di sterminio in una visione intima ma allo stesso tempo universale. Nonostante tutto, in alcuni di questi disegni oltre all’orrore, una possibilità per l’umano persiste. Come nel disegno di Aldo Carpi, intitolato L’ultimo compagno nel forno crematorio di Gunsen (1945), dove un senso di fratellanza che sembra prendere la forma di un saluto, in quei pochi tratti, sembra persistere. Il rabbino Zalman Schachter-Shalomi diceva che “il bene che c’è nel mondo supera il male, ma non di molto.” Se questo è vero, allora, questi disegni con la loro stessa esistenza, testimoniano la presenza di questa piccola ma importante differenza e a distanza di anni ci ricordano di mantenerla.